Prematuro parlare di de-dollarizzazione

Si sente spesso parlare del tema della de-dollarizzazione, ossia una riduzione dell’esposizione delle Banche centrali al dollaro USA. Le discussioni sono accelerate nella seconda parte del 2023, con le tensioni geopolitiche persistenti, l’aumento del premio a termine sui bond governativi statunitensi e il calo delle detenzioni di Treasury da parte di alcuni importanti investitori asiatici. Di recente il tema si è riacceso visti i grandi acquisti di titoli di Stato europei dall’estero. 

Gli analisti di Credit Agricole ritengono queste discussioni premature. Viene infatti evidenziato che se gli investitori di Cina, Hong Kong e Giappone hanno ridotto l’esposizione in bond governativi statunitensi nel 2023, la domanda da parte del resto del mondo ha tenuto piuttosto bene. Gli analisti mostrano anche la tenuta della domanda di Irlanda e Belgio, “considerate come proxy delle disponibilità di investitori esteri come quelli cinesi”. In sintesi, la richiesta di Treasury per il 2023 dovrebbe essere rimasta stabile. CA nota poi che il calo delle disponibilità di obbligazioni governative di alcune Banche centrali nel corso dell’anno è correlato alla diminuzione delle riserve in valuta, non alla de-dollarizzazione. Questo fenomeno riflette invece il difficile contesto commerciale globale e gli sforzi degli istituti centrali dei Paesi emergenti per difendere le loro valute dal dollaro nei mercati Forex.


Fonte: ricerca Credit Agricole

Queste Banche centrali storicamente tendono a mantenere una quota di valuta stabile nelle loro riserve: la conclusione è basata sul fatto che, quando le riserve sono scese, si è visto un ampio apprezzamento del dollaro che ha portato ad un suo acquisto rispetto ad altre divise. 

L’anno scorso, la quota di USD nelle transazioni internazionali SWIFT è cresciuta, quella di yen e sterlina inglese si è moderata e quella dell’euro è crollata. L’importanza del dollaro come valuta di riferimento per le transazioni internazionali è uno dei motivi che favoriscono il rallentamento della de-dollarizzazione

Gli ultimi dati del Fondo Monetario Internazionale relativi alle riserve ufficiali in valuta hanno mostrato una revisione al rialzo di 0,5 punti percentuali di quelle in dollari per il 1° e il 2° trimestre 2023. Nel 3° trimestre, la quota di USD dovrebbe essere scesa dal 59,43% al 59,43%, in linea con la media storica degli ultimi 3 anni al 59,34%. Il 58,52% del 4° trimestre 2022 potrebbe invece essere un caso isolato. 

Vale la pena guardare invece all’euro, la cui quota nelle riserve è del 19,58% nel 2° trimestre 2023, il secondo valore più basso dal 1° trimestre 2017. Tra il 4° trimestre 2022 e il 3° del 2023, la quota di euro nelle riserve delle Banche centrali è crollata del 4% ed è inferiore di circa l’8% ai massimi post crisi del debito sovrano di 10 anni fa. 

Quale è la domanda reale di valute da parte delle Banche centrali?




Fonte: ricerca Credit Agricole

Credit Agricole ha quindi calcolato la domanda reale di valute da parte delle Banche centrali. I conteggi mostrano come la richiesta di dollari nel 2014-2018 è stata più debole rispetto a quanto riportato dal FMI. Tuttavia dal 4° trimestre 2021 si è vista una grande stabilità. Al contrario, la domanda reale di euro è in costante discesa dal picco del 3° trimestre 2021, mentre risulta in crescita quella di yen, dollari australiani e dollari canadesi. 

Fonte: ricerca Credit Agricole

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