Fed: torna in auge il dibattito sul tasso neutrale

In un contesto in cui l’economia USA è molto più forte delle attese, viene da chiedersi se la politica monetaria della Fed è sufficientemente restrittiva. Il dibattito sta ricominciando ad indirizzarsi sul tasso neutrale, ossia il livello teorico che non stimola o rallenta l’economia, conosciuto anche come r*. Se l’idea di un r* più alto dovesse prendere piede, si potrebbe verificare un rallentamento del percorso di riduzione dei tassi

Questo non implica che ci saranno altri aumenti, ma che la restrizione economica esercitata dalla Banca centrale è inferiore rispetto a quanto si pensava e, in ultima analisi, meno riduzioni del costo del denaro. Di recente, Kashkari ha riportato in auge questo discorso, mettendo in luce i dubbi in merito alla pressione esercitata dalla politica monetaria. 

Un’ipotesi approssimativa del tasso neutrale è identificata dalle proiezioni mediane del dot-plot sui tassi nel “longer run”, attualmente al 2,5%. Aggiustato per l’inflazione, l’r* è allo 0,5%. Un’analisi di Bank of America vede l’r* a 40 punti base in termini reali. Considerando gli attuali tassi al 5,25%-5,50%, ci sono 238 punti base di margine potenziale per la riduzione dei tassi. Se gli altri componenti del board si allineassero a Kashkari, il tasso neutrale salirebbe, riducendo il margine di manovra. In particolare, se per ipotesi si tornasse ai livelli del 2015 del 3,5%-3,8% si passerebbe dal prezzare 150 punti base a 100 punti base di riduzione. Non è detto che i fattori che hanno portato all’aumento del tasso neutrale siano persistenti: l’aumento della produttività, la partecipazione alla forza lavoro e la crescita USA che si troveranno a far fronte a venti contrati.

Fonte: Refinitiv

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