Il Fondo Monetario Internazionale evidenzia come
l’economia globale sia resistente e ha alzato le previsioni di crescita al 3,2%, meglio di 0,1 punti percentuali rispetto a gennaio. Per il 2025 le stime sono rimaste ferme al 3,2%. In generale, le prospettive a medio termine restano le più deboli da decenni per via della produttività bassa e delle tensioni commerciali, mentre quelle a breve termine risentono dei tassi elevati e del ritiro del supporto fiscale.
I principali rischi per il futuro sono attribuibili alle ricadute del conflitto tra Russia e Ucraina e quello in Medio Oriente, che potrebbero alimentare l’inflazione e aumentare le aspettative sui tassi. A questi si aggiungono i problemi del settore immobiliare cinese e il peggioramento della frammentazione economica globale.
Al contrario, i rischi al rialzo riguardano un rallentamento più deciso del previsto dei prezzi, che permetterebbe alle Banche centrali di allentare prima la politica monetaria. L’inflazione è vista al 5,9% quest’anno e al 4,5% nel 2025, anche in questo caso 0,1 punti percentuali in più rispetto al precedente outlook.
Il FMI ha criticato gli USA,
attribuendo l’eccezionale performance economica recente ad una politica fiscale insostenibile. Questo eccesso di spesa rischia di far ripartire l’inflazione e minare la stabilità fiscale e finanziaria a lungo termine in tutto il mondo.
Oltre a questo, l’istituzione ha avvertito che Francia e Italia stanno per accumulare nuovamente del debito in percentuale al PIL nel 2024, con il rapporto che dovrebbe continuare a crescere fino alla fine del decennio. Questo cambiamento di tendenza potrebbe portare gli investitori ad un maggiore controllo: le stime sono per un incremento del debito/PIL al 115,2% entro il 2029 per la Francia, mentre per l’Italia le previsioni sono per un incremento del rapporto a 140% nel 2025 e al 144,9% per il 2029. Il FMI ritiene che sia importante concentrarsi di nuovo sul consolidamento fiscali, creando un margine di bilancio che permetta di affrontare i prossimi shock frenando l’incremento del debito pubblico.
Fonti: FMI, Bloomberg