Nella seduta di ieri le quotazioni del petrolio WTI hanno archiviato un +5,15%, mettendo a segno il rialzo più grande in quasi un anno. A spingere i corsi è stato l’acuirsi delle tensioni geopolitiche: in particolare, sono aumentati i timori in merito al fatto che
Israele potrebbe colpire le infrastrutture di greggio iraniane come rappresaglia al bombardamento missilistico.
Joe Biden ha detto che gli Stati Uniti stavano discutendo se sostenere i possibili attacchi di Israele all’Iran, anche se un funzionario ha poi sottolineato che nessuna decisione è stata ancora presa. Il Medio Oriente è di particolare rilevanza per l’oro nero, rappresentando circa 1/3 delle forniture globali. In questo quadro, l’Iran è il terzo produttore dell’OPEC, con 3,3 milioni di barili al giorno pompati.
Le stime di Citigroup indicano che un attacco di massa alla capacità di esportazione dell’Iran potrebbe togliere 1,5 milioni di barili al giorno. Al contrario, mettere nel mirino infrastrutture minori toglierebbe tra i 300mila e i 450mila barili giornalieri. Un altro rischio è che Teheran possa prendere di mira le infrastrutture energetiche dei Paesi vicini o le vie di approvvigionamento (Stretto di Hormuz incluso). Per Clearview Energy Partners, un’interruzione dei flussi dallo Stretto di Hormuz potrebbe far salire le quotazioni del WTI da 13 a 28 dollari al barile.
Fonte: Bloomberg
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